Articolo pubblicato nell’inserto Sanità24 – MEDICINA E RICERCA de “Il Sole 24 Ore” del 27/11/2017
(autorizzazione concessa dall’autore)
Per mantenere il cervello giovane è necessario sentirci bene. Ad affermarlo sono le numerose ricerche scientifiche internazionali che dimostrano la relazione fra l’insorgere di deficit cognitivi, tipici della demenza, o dell’Alzheimer, con le ipoacusie. Il tema è stato approfondito durante il convegno “Novità cliniche e tecnologiche in ambito audioprotesico” a Roma, il 10 e 11 novembre 2017, in occasione dei 25 anni del corso di laurea all’Università Tor Vergata in tecniche audioprotesiche, che quest’anno ha aumentato da 10 a 36 i posti.
Rispetto ai normoudenti, infatti, chi ha un difetto di udito e non lo cura ha da 2 a 5 volte un rischio più alto di sviluppare deficit cognitivi. Il danno non è solo per la persona che vede peggiorare la qualità della vita ma anche per i costi sociali. In base alle ricerche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), 360 milioni di persone nel mondo convivono oggi con un calo dell’udito e 47 milioni con una forma di demenza. E, sempre secondo una stima dell’Oms, la perdita dell’udito costa all’economia globale 750 miliardi di dollari, pari alla spesa sanitaria sostenuta da Brasile e Cina messi insieme.
Nel totale, viene contemplata anche la perdita di produttività, dovuta alla disoccupazione e alle pensioni premature, una voce che da sola ammonta a 105 miliardi.
Italia in ritardo
Nel nostro Paese, la sensibilità alle protesi è decisamente scarsa. Basti considerare che, a dimostrazione della grande sottovalutazione della sordità e mancanza di adeguata prevenzione, nel 2016 in Italia, secondo i dati dell’Anap, Associazione nazionale audioprotesisti, sono stati applicati 400 mila apparecchi, a fronte dei 285mila in Olanda, dove vivono solo 16 milioni di abitanti rispetto ai nostri 60 milioni. Inoltre, la prima protesizzazione negli adulti oggi avviene a 75anni contro una media europea pari a 60,5.
Il rischio disabilità collettiva
Per l’Oms si tratta di una bomba destinata a scoppiare e anche per noi specialisti la preoccupazione è l’aumento di disabilità intellettiva e cadute. Investire invece nella prevenzione e negli apparecchi acustici che mantengono le capacità uditive significa risparmiare risorse e un aumento dei vantaggi economici. Una pronta correzione dell’ipoacusia risulta determinante nella riduzione dell’incidenza delle patologie secondarie e rappresenta una vera sfida alla quale sia i medici audiologi sia gli audioprotesisti devono confrontarsi quotidianamente durante le due fasi del percorso riabilitativo: la prima legata alla diagnosi e la seconda caratterizzata dall’adattamento protesico.
Audiprotesisti sottoutilizzati
Ad oggi, il numero degli audioprotesisti in proporzione agli abitanti in Italia è pari a quello degli altri Stati occidentali. C’è da dire tuttavia che gli specialisti servono circa il 20% dei clienti possibili. In questa sottoutilizzazione della risorsa professionale sta il nostro paradosso, perché il fabbisogno di protesi della nostra popolazione (più anziana che altrove) sarebbe almeno eguale a quello degli altri Paesi.
Assitenza protesica fuori dal Nomenclatore
Un primo segnale positivo è stato il passo indietro compiuto questa estate riguardo alla revisione del Nomenclatore tariffario per assistenza protesica del Dpcm istitutivo dei nuovi Lea. È stata infatti evitata l’ipotesi di inserire le protesi fra i dispositivi medici da acquisire con gara d’appalto. Di fatto, si sarebbe costretto l’audioprotesista a subire – ex ante – la scelta altrui del dispositivo, vanificando la prestazione sanitaria che si svolge invece soprattutto ex post, con riferimento alla fase di “allestimento su misura” del dispositivo. Senza considerare che, come ho fatto presente in commissione Sanità del Senato, sulla base delle stime dell’Anap, ci sarebbe stato un aggravio di circa 80milioni di euro l’anno per il Servizio sanitario nazionale.
Dr. Stefano Di Girolamo
Docente di Audiologia
Università di Roma “Tor Vergata”